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Riflessioni sul dato del Debito Pubblico degli Italiani


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Milano_ [Rubrica OK Boomer]

pubblicato il 17.09.2024


Michele Serra

Oberati di Debiti

In economia non si può barare sui numeri (la politica invece lo fa molto spesso, ignorandoli o addirittura falsificandoli), ma partendo dagli stessi, identici numeri gli analisti e i commentatori economici possono arrivare a conclusioni anche molto diverse.

Ogni volta che cerco di capire qualcosa di più sul debito pubblico italiano, capisco qualcosa di meno. Leggo uno, due, tre approfondimenti e mi rendo conto che l’economia, pur fondandosi sui numeri, è una disciplina fortemente soggetta alle opinioni individuali e alle diverse scuole di pensiero. Quasi quanto la politica.

Il debito pubblico italiano è un classico. Oramai lievita verso i tremila miliardi di euro (circa 50mila euro pro capite compresi i neonati, come si suole specificare per dare un tocco tra il tragico e il surreale alla situazione), ed espressioni come “la voragine del debito pubblico”, o “la spada di Damocle del debito pubblico” sono diventate gergo giornalistico diffuso. Un po’ come “l’Italia nella morsa del gelo”. O nella morsa dell’afa.

Ma il debito pubblico è posseduto, attraverso l’acquisto di titoli di Stato, soprattutto da investitori italiani, a differenza di altri debiti pubblici nazionali (per esempio quello tedesco e soprattutto quello francese) che sono invece, in forte percentuale, nelle mani di investitori stranieri. E questo, se ho ben capito, renderebbe la voragine un po’ meno voragine, se non dal punto di vista quantitativo dal punto di vista qualitativo: perché tenere saldamente in pugno i propri debiti rende meno vulnerabili e meno ricattabili, anche dal punto di vista politico. Il disgraziato e improbabile giorno che lo Stato dovesse fare bancarotta e non riuscire più a ripagare i suoi creditori (cioè i possessori di Bot, Btp, obbligazioni e altri titoli di Stato) sarebbero gli italiani in prima persona a perdere i loro risparmi. Viene da dire, in sintonia con il clima politico: una specie di sovranismo della rovina, buono per riscaldare con un poco di tepore patriottico le magre cene con il riscaldamento al minimo: “bambini, è con un certo orgoglio che posso dirvi che noi italiani ci siamo rovinati da soli”.

E già su questo punto – il debito italiano è degli italiani – le opinioni si dividono e la situazione si complica: perché significa che i nostri titoli di Stato sono poco considerati all’estero, e poco coinvolti nelle grandi transazioni finanziarie internazionali. Se i cinesi non comprano il nostro debito è perché lo considerano poco appetibile, e non sono disposti a finanziarlo. Che questo sia un bene oppure un male, voi capite, non è cosa che ognuno di noi può stabilire leggendo un giornale, e forse neppure iscrivendosi a una scuola serale per economisti (ne esisteranno?); per altro, non sono sicuro che lo sappiano dire con certezza gli economisti più navigati. In una economia globalizzata – specie finanziariamente – è un vantaggio o uno svantaggio la nazionalizzazione di fatto del debito pubblico?

Ulteriore domanda, ulteriore complicazione, ulteriore cosa che mi fa sembrare l’economia una disciplina misteriosa: essere al tempo stesso creditori dello Stato, finanziando il suo debito, e attori del debito stesso, ognuno per la sua fettina di voragine e la sua porzioncina di welfare, non è forse un poco schizofrenico? Non sarà che sentirci creditori come privati cittadini (se abbiamo un po’ di titoli di Stato) ci fa dimenticare di essere anche pesantemente indebitati, come comunità di persone? Non ricordo chi lo disse: l’Italia è un Paese povero abitato da ricchi…

Avendo sicuramente contribuito, fin qui, a incrementare la confusione, cerco di rimediare scrivendo di seguito le sole piccole certezze che, in merito al debito pubblico, sono riuscito a costruirmi. In sintesi:

1 – Il debito pubblico italiano, da qualunque prospettiva lo si osservi, è oggettivamente stratosferico. Secondo i vincoli di bilancio dei paesi membri della Ue non dovrebbe superare, annualmente, il 60 per cento del prodotto interno lordo. Nel 2023 si è attestato sul 137,3 per cento (la media della zona euro, comunque non virtuosa, è attorno al 90). I debiti sono pur sempre debiti, cioè soldi spesi non avendoli. Non c’è famiglia, non c’è individuo, a parte chi nasce ricco sfondato, che possa fare a meno di indebitarsi per campare; ma non c’è famiglia, non c’è individuo che non sia costretto a prendere atto, se ha fatto troppi debiti, che non deve farne altri e deve cercare di ripianare quelli già fatti. Non dovrebbe ragionare allo stesso modo anche una comunità nazionale, cioè uno Stato?

2 – La politica nel suo complesso dà l’impressione di non essere in grado di affrontare il problema per una ragione strutturale: il suo obiettivo è cercare consenso, ed è molto più facile ottenerlo promettendo qualunque cosa e vaneggiando di un presente florido, e di un futuro radioso, che parlando della situazione per quella che è davvero. Solo in rare occasioni (i famosi “governi tecnici”) signore e signori dall’aria severa, messi lì apposta per governare severamente, ci hanno detto: siamo messi male, abbiamo speso troppo, bisogna fare sacrifici. Non sono particolarmente affascinato da signore e signori con l’aria severa, e per giunta non sono affatto sicuro che le mie priorità della spesa pubblica (scuola, sanità, previdenza sociale, protezione civile, reddito di cittadinanza per chi ne ha effettivo bisogno) siano le stesse che avevano in testa loro. Ma devo riconoscere che il loro evidente distacco dalla ruffianeria del linguaggio politico (non erano stati votati da alcuno, non avevano bisogno del voto di nessuno) mi aveva illuso che fosse possibile trattare gli italiani da adulti, non da eterni bambini bisognosi di protezione, rassicurazione, consolanti bugie.

3 – Magari sto per dire una scemenza economica, ma la dico lo stesso, confidando nel fatto che, fin qui, avete condiviso il mio vacillante cammino in questo territorio infido.

Il primo modo per sostenere lo Stato, e la spesa pubblica, è pagare le tasse. Comperare i titoli di Stato significa investire sul debito, e investire significa lucrare, anche se in modica percentuale. Chi paga le tasse non lucra, non conta su una ricompensa, fa semplicemente il proprio dovere, onora il patto di cittadinanza.

L’evasione fiscale, in Italia, è pari, o di poco superiore, agli interessi annuali che lo Stato paga sui suoi titoli: attorno agli 80 miliardi all’anno.

L’ipotesi, molto realistica, che una buona fetta di titoli di Stato venga acquistata con i soldi sottratti al Fisco significa che, di fatto, una parte dei nostri concittadini rivende con gli interessi allo Stato quattrini rubati allo Stato.

C’è un sacco di gente che chiama “i miei risparmi” la propria refurtiva.